La Cassazione, con la recentissima sentenza n° 36059 del 09/07/2015 torna a puntualizzare l’incompatibilità tra il beneficio della sospensione condizionale della pena previsto dall’art. 163 c.p. e l’accesso al lavoro di pubblica utilità come modalità alternativa di esecuzione della pena.
Invero si tratta di due ipotesi di favore per il condannato, ognuna delle quali può avere delle peculiarità tali da indurre il condannato ad optare per l’una piuttosto che per l’altra.
La sospensione condizionale della pena, così come configurata dal legislatore, consente a colui che abbia riportato condanna ad una pena detentiva non superiore a due anni (salve le diverse ipotesi previste per i minori, per gli infraventunenni o per gli ultrasettantenni) di non scontare la pena, a patto che il condannato non commetta ulteriori reati nel termine di 5 anni per i delitti o di 2 anni per le contravvenzioni. La sospensione può essere concessa una sola volta. In caso di una nuova condanna, se non si superano i limiti di pena sopra ricordati, il giudice può nuovamente concedere il beneficio.
Decorsi i termini indicati, il reato è estinto ed il condannato non dovrà più scontare quella pena.
Il lavoro di pubblica utilità, invece, è una forma di espiazione della pena alternativa alla detenzione e consiste nello svolgimento di un’attività lavorativa o di volontariato in favore della comunità, per il tempo stabilito dal giudice, sotto la sorveglianza dell’ufficio di esecuzione penale esterna. Anche in questo caso il positivo esito del periodo di lavoro determina l’estinzione del reato.
Come si può ben vedere entrambi gli istituti hanno delle caratteristiche tali per cui, nel caso concreto e sulla base delle esigenze dell’interessato, l’uno può risultare preferibile rispetto all’altro.
La Cassazione è stata dunque interessata in considerazione del fatto che i giudici di merito, avendo condannato l’imputato per il reato di guida in stato d’ebbrezza con concessione della sospensione condizionale della pena, avevano rigettato l’istanza di ammissione al lavoro di pubblica utilità, ritenendo che la sospensione condizionale sia un beneficio più favorevole.
La suprema Corte, dal canto suo, ha annullato la sentenza con rinvio alla Corte d’Appello, sottolineando che “la richiesta del lavoro sostitutivo implichi inequivocabilmente, sia pure tacitamente, la rinuncia alla sospensione condizionale della pena in precedenza concessa“, lasciando dunque intendere che il beneficio in parola sia rinunciabile dall’imputato e che dunque la richiesta di questi debba ritenersi prevalente rispetto alle valutazioni del giudice.